Ugo Sani: “I mestieri della libertà”
25 mercoledì Gen 2017
25 mercoledì Gen 2017
07 sabato Mag 2016
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Ferdinando Abbri, Foucault, Frottola, Frottole, Jean Bernard Léon Foucault, Licei Poliziani, Luciano Garosi, Massimiliano Frezzato, Massimo Cacciari, Massimo Mazzoni, Montepulciano, musica, raffaele giannetti, timothy holthorne, Umberto Guidoni
Il 9 aprile 2016 si è aperta la settimana che i Licei poliziani hanno dedicato a Jean Bernard Léon Foucault, lo scienziato francese che nel 1851, con il suo pendolo, riuscì a far vedere a tutti come gira il mondo. L’esperienza scientifica è stata rinnovata a Montepulciano, in San Biagio, con grande successo di pubblico.
Massimiliano Frezzato è l’autore della suggestiva immagine della manifestazione (di cui alleghiamo il programma):
I miei carissimi lettori vedranno che fra le grandi iniziative proposte – lectiones magistrales di Umberto Guidoni e Massimo Cacciari, vari interventi di Ferdinando Abbri, Massimo Mazzoni e altri – ci sono alcuni minimi interventi di Raffaele Giannetti, che ha scritto l’inno del liceo (Laurus nostra culta viret, a cui ha dato la musica Luciano Garosi) e una commedia interpretata da studenti liceali e perfino da qualche professore (La vera storia del pendolo di Foucault):
Anno 1851. In una notte buia e tempestosa, convengono in una locanda presso Parigi, portati dal caso, illustri personaggi dell’epoca (fra cui, come si può ben immaginare, Jean Bernard Léon Foucault). Non si tratta, comunque, solo di scienziati, perché qui si incontrano scrittori, musicisti e molti altri … Fra questi, ci limitiamo a ricordare Victor Hugo, Alexandre Dumas (figlio), Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini e perfino Ciro Pinsuti. Non sembri troppo strana la brigata, perché i personaggi di cui si parla potrebbero essersi trovati davvero nella locanda (forse con una perdonabile eccezione). In questa situazione, le parole della scienza si mescolano pian piano alle note musicali e anche agli strepiti della locandiera e dei camerieri, ai fumi e ai sapori della cucina … Questa è una sorta di commedia musicale, con un sentore di café chantant e di can can, che rappresenta un’epoca nella quale ci si poteva intendere, per così dire, a colpi di romanza: è una commedia per Foucault che ci fa vedere, sulle tavole di un palcoscenico, come gira il mondo!
Vi chiederete certamente perché io debba parlare di me stesso in terza persona, come Giulio Cesare. Forse per dare più importanza a quanto ho fatto? Ovvero come in un risvolto di un libro (dove il nostro piccolo io può diventare l’autore)? No, niente di tutto ciò. Il fatto ha ragioni psicologiche. Mi spiego: è vero che questa volta ho scritto io i versi dell’inno e le battute della commedia, ma è Timothy il vero autore di queste nugae. È stato lui, attraverso la faticosa pratica delle Frottole e delle altre sue macaroneae, attraverso il continuo ed estenuante esercizio della rima e del ritmo, che mi ha permesso di scriverle. In queste faccende, infatti, Timothy mi ha sempre voluto accanto a lui.
Grazie Timothy!
Inno dei Licei Poliziani (Laurus nostra culta viret) (link al pdf)
23 sabato Gen 2016
Posted Opere
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Alessio Tiezzi, Bruscello, Calzabigi, Euridice, Francesco Traversi, Gluck, Montepulciano, Orfeo, raffaele giannetti, Zelindo Ascani, Zelindo il garibaldino
Dramma pastorale in cerca di burattini
Il dramma pastorale Orfeo ed Euridice nasce dall’omonimo Bruscello poliziano, rappresentato a Montepulciano nel 2012, di cui è una vistosa sintesi (particolarmente adatta a uno spettacolo di burattini).
Con l’Orfeo sono riuscito ad allontanarmi, almeno un po’, dalle astrusità di Timothy, che sono frutto dell’autocompiacimento o comunque di un gioco che è essenzialmente un solitario, per dirigermi verso una dimensione molto più ampia e sconosciuta: il Bruscello. Pratica sicuramente piacevole, quella della scrittura di poesia per un pubblico determinato, e non destinata a rimanere nel chiuso di un cassetto – assomiglia un po’ ai testi delle canzoni –, ma senza dubbio, dopo un po’ di tempo, soffocante: ogni momento della giornata è buono per scovare nelle parole dette, lette o sentite, una soluzione di una rima. Non tutti siamo Saba, che sappiamo fare cose straordinarie con i materiali più poveri e triti. E così, ora per ora, giorno per giorno, sempre alla ricerca di rime. C’è, tuttavia, un aspetto del lavoro di rima che è straordinariamente proficuo, in tutti i sensi, morale e poetico (e che giustifica da solo l’importanza di questa pratica). Rimando, si scopre quello che Gianni Rodari dice per il suo, pur diverso, «binomio fantastico» (nel suo caso si tratta di due oggetti, di due nomi): che la rima, che è comunque un’associazione, spesso un binomio, viene prima del contenuto. La bravura del poeta e la difficoltà del gioco stanno, appunto, nello scorgere i legami fra due elementi apparentementi estranei.
L’Orfeo, comunque, seguiva l’esperienza di Zelindo il garibaldino, la storia di un falegname di Montepulciano – Zelindo Ascani – che era stato uno dei Mille.
Di questa prima esperienza ricordo con piacere alcuni pochi esiti che, a mio parere, erano riusciti più poetici degli altri – in relazione, naturalmente, alla natura del testo – proprio perché non mi ero fatto trascinare dalle mere e astratte esigenze della trama:
Dall’Atto I, scena 1
Poeta
Io sono qui a far le rime al mondo,
a fermare quanto ’l tempo distrugge,
a tirar su quel ch’anderebbe a fondo,
quel che, se non si tien, col tempo fugge,
e a far quadrato quel che invece è tondo,
quel che, come la neve al sol, si strugge.
Ed io vi dico allor del tempo andato
che se vi duole ancor… non è passato!
Zelindo
Addio, addio, Montepulciano bella,
che sorgi sulla Chiana giù distesa,
il pianto strozza già la mia favella…
Addio Fiorinda: parto per l’impresa,
ma tu, per carità, serba l’anella…
quella sarebbe l’ora tanto attesa.
È sempre duro abbandonar chi s’ama,
anche quand’è la patria che ci chiama!
Fiorinda
Io solo prego Iddio che tu ritorni!
Un’altra grazia, no! Io non ti chiedo
che di medaglie o sangue il petto adorni,
ma solo che tu prenda il tuo congedo.
Per questo pregherò le notti e i giorni:
ch’io possa farmi un povero corredo.
Non mi morir, Zelindo mio, amore!
Che ne morrei anch’io, ma di dolore!
Dall’Atto II, scena 3
Fiorinda
Ogni paura ed ogni tua ferita,
in sogno o in veglia sempre i’ l’ho provata,
e sempre ad una ad una io l’ho patita,
coll’unto de la teglia l’ho impastata,
col filo de la rocca l’ho cucita:
un punto d’ago a lacrima versata.
E tutte son cadute sul ricamo
che, quando ho letto, c’era scritto «T’amo!».
Atto III, scena 2
Narratore[1]
Ei prese ’l largo, genti, un bel mattino,
Zelindo di Girolamo e Luisa,
Zelindo Ascani, il bel garibaldino,
con la camicia rossa per divisa.
Salì sopra una nave Rubattino
per riscattar la patria ancor divisa.
Ma lui partì per una storia vera,
dietro alla sua vita, la sua bandiera.
[1] Nel Bruscello, per esigenze sceniche, attribuito a Zelindo stesso: «Io presi ’l largo …».
La morte di Zelindo (Atto III, scena 3)
Narratore
La storia di Zelindo si concluse,
quella terrena, a Dio così piacendo,
tra mille fiori rossi e mille rose,
in un giorno sereno, un giorno di vento,
che le porte del cielo gli dischiuse
e che sentì tutto quell’ardimento:
e turbinando lo portò con sé
il cinque maggio novecentotré*.
* Controversa è la data, ma non è questo il luogo per discuterne.
Il tono e la musica (di Francesco Traversi) giustamente patriottici fecero il loro effetto.
Poi venne L’Orfeo ed Euridice (il Bruscello poliziano, con la musica di Alessio Tiezzi e la regia di Franco Romani), di cui potremo vedere ed ascoltare alcuni passaggi [link non ancora attivi]:
[link video: 1. Aracne_Come altri giorni_antefatto]
[link video: 2. Parche_Di sorelle_II_3]
[link video: 3. Tantalo_Forse il pozzo_II_3]
[link video: 4. Vedo un boccio_Al modo delle foglie_II_3]
[link video: 5. Baccanti_Or noi siamo (Cuius pampinis)_III_3]
[link video: 6. Ombre_Fa prima morte_Fino a domani_III_3]
Infine, quella che considero la mia versione del mito:
Orfeo ed Euridice. Dramma pastorale in due atti
Come introduzione all’intero testo, basti un’ottava dell’antefatto:
Come altri giorni nella nostra vita,
questo era l’un di quei che sono un guado;
quando l’infanzia nostra è già finita,
quando si tira in aria il nostro dado;
quando comincia l’erta, la salita,
quando si scopre il mondo a grado a grado.
Ma lei non ci arrivò sull’altra sponda,
e il dì si trasformò in notte fonda.
Congedo
Di un terzo Bruscello – Romeo e Giulietta – scrissi solo l’ottava di presentazione, con la quale, credo, di avere concluso la mia attività di rimatore:
Di quel Romeo a dir ora m’azzardo,
che amò Giulietta e pure fu Montecchi;
e poi che ’l pianto a dir mi fa più tardo,
ognun creda al suo cuor più ch’agli orecchi,
che ’l primo è men di questi due bugiardo;
e meglio ad ascoltare s’apparecchi.
Non la corazza, non lo scudo o l’elmo
ripara da la lancia di Guglielmo.*
* William, ovvero Shakespeare (che potrebbe tradursi come ‘Scuotilancia’ o, come è stato già detto, ‘Crollalanza’).
Timothy, il solito buontempone, mi aveva suggerito un’altra storia con un attacco simile, ma molto più audace. Secondo lui sarebbe stato folgorante: Pensa un po’, mi diceva, allo sconcerto del pubblico al sentire una lingua che non comprende – in questo caso il francese (non corretto storicamente e di sicuro nemmeno grammaticalmente, ma si fa per dare l’idea) –, finché, beninteso, ascolta con le orecchie! E poi, all’improvviso, tum tum tum, ecco che si capiscono le parole perché si ascolta con il cuore!
E io: Timothy, ma che dici, non ci ho capito niente!
E lui: Ascolta!
Tristano e Isotta
De vous chanter l’histoire je me conseille
du grand amour qui lia Tristan et Yseut,
mais vous, si me prêteraiez seulement l’oreille,
alors ni l’entendrez ni rien ni peu:
ma langue comme ce livre-ci est vieille:
le coeur, tout seul, ainsi, l’entendre peut …
… or mi sentite poiché sente ’l cuore,
che d’ogni lingua è buon intenditore!
Fortunatamente non gli ho dato retta! Astruso Timothy! Il quale, però, mi strattona e mi richiama: vuole aggiungere qualcosa, ancora. So che vuole giustificare certe asprezze, qualche passaggio dal tono popolareggiante, qualche idiotismo, e via di seguito. Siate buoni con lui:
Un poco son poeta, e un po’ bifolco
ch’or piego a dritta e poi giro a mancina:
la penna mia procede come solco,
e questo è ’l verso di chi ’l gran semìna**.
** È Timothy stesso a farmi notare che la diastole della terza persona del verbo (semìna in luogo di sémina, come semìnano in luogo di séminano) è tipica dei vecchi contadini di queste zone.
22 domenica Nov 2015
Posted Frottole
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Arianna, Calzabigi, Cantiere Internazionale d'Arte, carmi goliardici, donchisciotte, esametri latini, Euridice, Frottola, Frottole, Gluck, madrigali, Montepulciano, musica, Orfeo, ottonari latini, poemetto, raffaele giannetti, rhymes, rima retrogradata, sonetti, timothy holthorne
Timothy Holthorne, che abbiamo conosciuto come scrittore di esili racconti, si è cimentato anche nella poesia scrivendo soprattutto testi per musica (Frottole & altre storie. Testi e musiche di un canzoniere anonimo, o quasi, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Montepulciano; San Quirico d’Orcia, DonChisciotte, 2002).
In questa occasione, però, è toccato a me metterci la firma e la faccia, salvando Timothy, autore del testo e della musica. Dal canto mio, come dimostra il sottotitolo, mi nascosi quasi completamente sotto un tranquillo anonimato.
Il piccolo canzoniere – le cui elaborazioni musicali sono in fase di nuova registrazione – è composto, diciamolo, da alcune «grullerie»:
A queste celie seguivano – quasi una giustificazione dell’ingenuo e scherzoso divertissement poetico – alcune divagazioni intorno al rapporto fra la musica e la parola: Il Lamento di Arianna e Per Orfeo: sopra un passo dell’Orfeo ed Euridice di Gluck e Calzabigi.
Oggi pubblichiamo la dedica e la prima frottola.
***
Dedica
Cui dono lepidum novum libellum?
(Catullo)
A chi lo regalo questo libretto?
A chi non voglia credere quello che si dice di Catullo e della sua dedica a Cornelio: che la leggerezza grammaticale del sermo cotidianus – dono invece di donem – nasconderebbe un pensoso congiuntivo dubitativo.
Ma si può – vi chiedo – dedicare un libro dubitando? O, peggio ancora, fingendo il dubbio? Gentilezza davvero squisita! Fossi stato io Cornelio, gliel’avrei tirato in faccia, il suo libretto, a Catullo.
Siamo proprio sicuri che sia un dubbio quello espresso da un indovinello? Fossi un grammatico vorrei inventare l’indicativo inquisitivo.
A chi lo dedico questo libretto? A voi, naturalmente. Non c’è dubbio.
***
Dalla fenestra
Dalla fenestra d’una torre antica,
solinga, al ciel levata, i’ veggio ’l mondo
più picciolo, più bello e più ritondo,
e veggio, quando vien, l’orda inimica.
I rai fanno del Sol la terra aprica,
over la notte buïo profondo
gitta ne’ cor. I’ seguo il girotondo,
et se la Luna chiami et cane et pica.
Dall’alto i’ veggio ’l fil con che si cuce
ogne Soldano, ogne Sovran l’Historia,
et anco l’altro, più sottile e vano,
del villico, dell’huom, del core humano.
Or gloria tutti vònno o pur memoria:
i’ questo filo seguo ove conduce.