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In questo stesso blog, ormai diversi mesi fa (9 gennaio 2016), si è pubblicato Il Lambicco. Storia di un giostraio e di una sarta, un testo che attende una nuova elaborazione musicale per essere presentato come «operina». Propongo qui di seguito, invitandovi a leggerlo o a rileggerlo, un’aggiunta importante, che lo rende appena un po’ più letterario. Si era già detto che il protagonista, Landolfo, prendeva da Orlando e da Astolfo e che la sua amata Angelina era un palese richiamo ad Angelica. L’aggiunta, che forse deve assai poco all’autobiografia (Landolfo c’est moi), è una moderna rivisitazione dell’ariostesca fontana dell’amore. Non dimentichiamo, però, che se Orlando diventa pazzo per amore di Angelica, lo scrittore lo diventa per la sua Alessandra.
Il passo cruciale del Lambicco vede Landolfo che si scopre innamorato senza avere coscienza di come questo sia potuto accadere:
Tira tira, gira gira, Landolfo, un giorno, s’innamorò, come un ragno preso nella sua stessa ragnatela. Si trattava di Angelina, che, quando non stava alla cassa dei biglietti, faceva la sarta. L’avessi guardata con attenzione, avresti visto l’ago appuntato all’altezza del seno, con la sua gugliata, lì sul golfino di lana, quello che portava le serate di settembre, quando era più fresco.
Sempre la stessa vita, giorno dopo giorno, e Landolfo si era innamorato. Ma come sempre succede quando ci si innamora, lui non avrebbe saputo dire né come né quando.
Una sera, al chiardiluna, si fece coraggio e cantò una canzone antica:
Vago mi prese ’l cor uno desìo
d’offrir a voi quel ch’ho più pretïoso.
«E che donar, diss’io,
più caro vi potrei? L’alma ch’è mia
donar i’ vi vorrei!».
E qui si fermò.
Non riusciva a trovare la sua anima! Proprio ora che si era deciso a regalarla ad Angelina: «Ma dove sarà? Dove?». Poi, con la voce un po’ roca:
I’ la richiesi al vento,
all’aure, con gran voce…
… Eco rispuose al duol con un lamento.
I’ dico a voi, mio ben: «Se far con lei
parola in sorte aveste (i’ credo sia),
pregatela, ben mio,
Alma, riedi al cor tuo doglioso!».
Ma non è ’l cor più mio,
che sanza… lei – sanz’àle – i’ non son io!
Ecco dunque la breve aggiunta:
Landolfo a dire la verità, un po’ per paura, un po’ per orgoglio – che non di rado vanno a braccetto – aveva messo da parte un episodio alquanto chiaro al proposito: una volta aveva invitato Angelina al bar della giostra. Lei aveva preso un orzo e lui un caffè. Landolfo, allora, aveva approfittato di una distrazione di Angelina per versarle nell’orzo un filtro d’amore. Vi sembrerà strano, ma intorno alla giostra giravano sempre ciarlatani e venditori di unguenti, pomate, elisir, filtri e molte altre cose. Landolfo ne aveva comperato uno, quasi per scherzo, senza crederci veramente, e giusto per fare una buona azione.
Mentre erano lì, seduti a un tavolo a parlare, Angelina fece garbatamente notare che il suo orzo sapeva di caffè ed era dolce (lei lo prendeva senza zucchero, per via della linea).
– Strano davvero, disse Landolfo, il mio caffè! Sa di orzo. E poi è amaro! (lui ci metteva sempre un po’ di zucchero; per tirarsi su, diceva). E fu così che, per una sua fatale distrazione, s’innamorò perdutamente di Angelina.
Il Lambicco (link al pdf) – Link al pdf seconda parte
Quindi presento uno dei miei «di lemmi» dedicato al termine pettegola. L’interesse verso il termine, che qui declino al femminile, è nato soprattutto da quella che mi è sembrata – perdonate la mia ingenua e magari ignorante franchezza – una brutta caduta dell’etimologista, trattandosi, a parer mio, della solita impresa fonetica avulsa da qualsiasi considerazione culturale o antropologica.