Timothy Holthorne, che abbiamo conosciuto come scrittore di esili racconti, si è cimentato anche nella poesia scrivendo soprattutto testi per musica (Frottole & altre storie. Testi e musiche di un canzoniere anonimo, o quasi, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Montepulciano; San Quirico d’Orcia, DonChisciotte, 2002).
In questa occasione, però, è toccato a me metterci la firma e la faccia, salvando Timothy, autore del testo e della musica. Dal canto mio, come dimostra il sottotitolo, mi nascosi quasi completamente sotto un tranquillo anonimato.
Il piccolo canzoniere – le cui elaborazioni musicali sono in fase di nuova registrazione – è composto, diciamolo, da alcune «grullerie»:
- due sonetti in lingua volgare (Dalla fenestra d’una torre antica; Vago tremor levato al ciel dai frondi);
- una corona di madrigali (Qual dìssono concento);
- una frottola (Quand’Amor più mi sagitta);
- un madrigale a rima retrogradata (Vago mi prese ’l cor uno desìo);
- alcune rhymes (fra cui Metamorphosis);
- un frammento di un poemetto in esametri latini (Carmina silvana);
- due carmi goliardici in ottonari latini (Sirena; Surgit sol).
A queste celie seguivano – quasi una giustificazione dell’ingenuo e scherzoso divertissement poetico – alcune divagazioni intorno al rapporto fra la musica e la parola: Il Lamento di Arianna e Per Orfeo: sopra un passo dell’Orfeo ed Euridice di Gluck e Calzabigi.
Oggi pubblichiamo la dedica e la prima frottola.
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Dedica
Cui dono lepidum novum libellum?
(Catullo)
A chi lo regalo questo libretto?
A chi non voglia credere quello che si dice di Catullo e della sua dedica a Cornelio: che la leggerezza grammaticale del sermo cotidianus – dono invece di donem – nasconderebbe un pensoso congiuntivo dubitativo.
Ma si può – vi chiedo – dedicare un libro dubitando? O, peggio ancora, fingendo il dubbio? Gentilezza davvero squisita! Fossi stato io Cornelio, gliel’avrei tirato in faccia, il suo libretto, a Catullo.
Siamo proprio sicuri che sia un dubbio quello espresso da un indovinello? Fossi un grammatico vorrei inventare l’indicativo inquisitivo.
A chi lo dedico questo libretto? A voi, naturalmente. Non c’è dubbio.
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Dalla fenestra
Dalla fenestra d’una torre antica,
solinga, al ciel levata, i’ veggio ’l mondo
più picciolo, più bello e più ritondo,
e veggio, quando vien, l’orda inimica.
I rai fanno del Sol la terra aprica,
over la notte buïo profondo
gitta ne’ cor. I’ seguo il girotondo,
et se la Luna chiami et cane et pica.
Dall’alto i’ veggio ’l fil con che si cuce
ogne Soldano, ogne Sovran l’Historia,
et anco l’altro, più sottile e vano,
del villico, dell’huom, del core humano.
Or gloria tutti vònno o pur memoria:
i’ questo filo seguo ove conduce.