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Congedo e proponimento
Il sale e il soldo
Cominciamo dicendo che i di lemmi finiscono qui, almeno per quest’anno. E finiscono con un proponimento, o meglio un desiderio: quello di svelare le segrete corrispondenze fra il sale e i soldi. Perché? Perché non crediamo – io e Timothy, naturalmente – che il salario derivi dalla consuetudine di pagare i lavoratori con una quantità di sale. E dove sarebbe successo? Quando? Ma nessuno sa dirlo con precisione. In realtà quella del sale-salario è un’idea che nasce dalla sua stessa plausibilità. Che il sale sia prezioso e che possa costituire anche un pagamento, come presso i Baruya della Nuova Guinea, per esempio, nessuno lo mette in dubbio, ma da qui a costruirci una favola …
SALE ovvero SELL SOLD SOLD
Così, e del tutto involontariamente, la lingua inglese ci mette sull’avviso: sale e sold, nome e verbo, hanno a che fare con la ‘vendita’ e il ‘vendere’. Si tratta di una impressionante e suggestiva spia linguistica, indoeuropea, che svela come la sovrapposizione di sale e soldo debba avere origini profonde e lontane, e non nasca per la solita vicenda storica – in realtà pseudostorica e razionalistica – inventata per appagare ad ogni costo la nostra curiosità.
Sia il sale che il soldo rappresentano bene l’immagine e il significato del solido (latino solidus): il sale è quanto resta dopo l’evaporazione del liquido in cui è disciolto; il soldo è il prodotto linguistico del solido latino. Sappiamo bene, poi, che solido e liquido sono due termini che hanno una loro precisa accezione quando si parla di denaro.
Il sale e il soldo, inoltre, hanno a che fare entrambi, oltre che con il solido, anche con il sole: il sale è prodotto dall’azione del sole; il solidus è una aurea, e perciò solare, moneta costantiniana.
Quanto alla solarità del solido, si deve dire che essa passa attraverso la condizione di solito, cioè di stabile, di perenne, appunto come il sole, che, levandosi tutti i giorni, rappresenta una presenza solita e, per così dire, metaforicamente solida. Anche questo, rimanderebbe alle numerose relazioni, che qui non possono essere discusse, fra cosmo e moneta.
In altre parole, il sole, il sale, il solido e il soldo si trovano in stretta relazione fra loro, almeno nella reale esperienza degli uomini. In fondo anche i debiti si saldano, cioè si ‘consolidano’, ‘si trasformano in solido’. In sale? Né potremmo dimenticare i saldi di fine stagione. Il conto, dunque, è salato di per sé, fin dall’origine, perché non c’è nessuno stipendio pagato in sale. A meno che un buontempone non abbia deciso, chissà dove e quando, di pagare a sua volta il ristorante con il sale ricevuto in pagamento.
Trenta grani di sale sulla tavola
Se Giuda, infine, nell’Ultima cena dipinta da Leonardo, ha rovesciato la saliera sulla tavola, ciò è connesso chiaramente con il suo venale tradimento: tanti grani di sale, tanti soldi, potremmo dire, cioè trenta denari.
Ecco, dunque, che il sale sulla tavola assume un nuovo senso: quello della venalità e, dunque, del rifiuto dell’ospitalità, indicando l’estraneità ai principi morali di una comunità e, in questo caso, di una comunione[1].
[1] Alfonso M. Di Nola, che pure ricorda l’Ultima cena di Leonardo e la copia che ne fece il discepolo Marco d’Oggiono (Brera, Milano), nella quale il particolare della saliera rovesciata è meglio visibile, si limita ad accennare alla «rarità e costosità del sale», qualità che, tuttavia, non sono per noi sufficienti a distinguere le superstizioni legate al sale da quelle legate a qualsiasi altro prodotto prezioso, come l’olio, per esempio (Di Nola, Lo specchio e l’olio. Le superstizioni degli italiani, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp 99-100).