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Robo-tic e Robo-tac è una novellina destinata ai bambini e, quindi, anche agli insegnanti. È una storia nata dentro le aule scolastiche, dove spesso si discute di questioni simili. Una certa recrudescenza, per così dire, del rigore e della severità nelle pratiche didattiche, associata a un giudizio alquanto ingiusto nei confronti delle nuove generazioni – ah, questi giovani d’oggi! – ci consiglia di procedere più cautamente e di ripensare le certezze della scuola attuale.

Robo-tic & Robo-tac
Un racconto in difesa del «quasi»

Pensiamo che la nostra paura dei robot – e degli insetti – dipenda dal fatto che quelli sono tutti uguali fra loro. La libertà e l’intelligenza hanno bisogno di un po’ di differenza, cioè del quasi. Quasi sempre (T.H.).

Robo-tic e Robo-tac avevano un antenato davvero illustre: un orologio a pendolo costruito da Jean de La Pierrette.
Jean, molti anni prima di loro, era fuggito in Svizzera dalla Francia natìa per motivi religiosi. E come lui avevano fatto in molti, per cui la Svizzera era diventata in poco tempo la patria dell’orologio.
Robo-tic e Robo-tac guardavano all’avo con una certa aria di superiorità: loro, piccoli e scattanti, sapevano fare molto più di lui, che stava a dondolarsi tutto il giorno, senza fare altro. A dire la verità era molto tempo, anzi moltissimo, che non faceva proprio niente. E l’età ce l’aveva tutta, se si pensa che Jean de La Pierrette se ne era andato in Svizzera nell’autunno del 1580, per la precisione nell’ottobre, o nel settembre. E se non ci era andato nel 1580, ci era andato nel 1581 o in quegli anni lì: di certe cose si perde facilmente la memoria. Soprattutto i giovani, che non amano il calendario, non ne conoscono più i santi e davvero non si intendono più di genealogie.
Robo-tic e Robo-tac guardavano all’avo con una certa aria di superiorità, come fanno tutti i giovani finché non hanno scoperto le insidie del mondo e la crudeltà degli uomini o, come in questo caso, dei robot. Ma in fondo, loro due si sentivano simili al loro avo, che, a giudicare dall’aspetto, doveva essere stato assai rumoroso: tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac … tic-tac. Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac
Avrete notato che la stirpe non mente e il sangue blu, per così dire, non si guasta tanto in fretta: i nostri pronipoti ne avevano mantenuto i segni distintivi.
Certo, l’abbigliamento del pendolo, o meglio lo stile degli intarsi era prezioso: aveva perfino uno sportellino con il vetro tutto disegnato. Sembravano i ricami di una stoffa preziosa, e dalla toppa spuntava una chiave tutta anse e ghirigori (da cui pendeva un nappo dorato, per quanto un po’ annerito).
Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac. Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac.
Questa doveva essere la vita dell’antenato, qualche volta tic-toc, e qualche altra tic soltanto.
Certo è che il colpevole è sempre qualcun’altro: se ci pensate bene, i battiti del cuore di un pendolo si sentono più e meno a causa del nostro orecchio, che è come l’occhio, e mette, per così dire, a fuoco i suoni invece delle immagini. E così se un suono, o meglio un rumore, è monotono continuo fastidioso insopportabile, roba da mandare al manicomio e uscirne pazzi, il nostro orecchio, assai gentilmente, lo allontana …
Tic-tac, Tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac, tic-tac …
E non ci dà più fastidio. E così ci salviamo. E se no come farebbero a lavorare gli artigiani? E se no come farebbe a lavorare un orologiaio? o come avrebbe fatto Jean de La Pierrette? Sicuramente è il nostro orecchio a dettare legge.
Anche voi, sono sicuro, ne avete avuta l’esperienza: se sopra al tic-tac ci mettete, cioè ci immaginate un ding-dang, cioè ci pensate un bang-bong o un fric-frac, un truc-truc … sentirete appunto ding-dang, bang-bong, fric-frac, truc-truc.
Perciò, in un mondo fatto di bambini, si sentono mille suoni come ding-dang, bang-bong, fric-frac, truc-truc, tric-trac, e anche molti altri come
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Ma in un mondo di robot si sente, o meglio si sentiva solo tic-tac: si sentiva, naturalmente, al tempo di Jean de La Pierrette.
Robo-tic e Robo-tac erano diventati quasi bambini, come Pinocchio, e anche loro non ci facevano più caso (intendiamo ai rumori molesti).
A dirla tutta, il pendolo aveva qualcosa di familiare, ispirava una certa simpatia e Robo-tic e il suo gemello sentivano di volergli bene.
Dovete sapere che il problema, per i robot, soprattutto per i bambini-robot, anzi per i robot-bambini, è diverso da quello dei bambini in carne ed ossa.
A questi ultimi si richiede sempre la massima precisione nel fare le cose, nel rispettare gli orari, nel fare i compiti e dunque nel fare i conti e, per così dire, nel mettere i puntini sulle «i».
– Sii preciso, sii puntuale, sii qui e sii là! –
Robo-tic e Robo-tac, invece, avevano imparato a loro spese che le cose non hanno sempre dei contorni precisi.
– Mi dia un chilo di mele, disse Robo-tic.
– Eccolo servito, rispose il fruttivendolo.
– Ma questo non è un chilo! [dovete sapere che i robot hanno strumenti di misura assai precisi]
– E allora ecco un’altra mela!
– Ma non è un chilo!
– Ma è di più!
– Ma io ho detto un chilo e ne voglio un chilo!
La questione non sarebbe mai finita se il fruttivendolo non avesse tagliato una mela a spicchi, raggiungendo, con un po’ di fortuna, la misura precisa, ossia, è proprio il caso di dirlo, spaccata.
Non mi dilungo oltre. Vi dico solo che, nonostante l’indiscutibile capacità di intonare una nota, Robo-tic e Robo-tac furono cacciati dal coro paesano.
Come si fa a cantare con un metronomo incorporato? Anzi, come fa a cantare, per così dire, un metronomo?
In fondo, come si è detto prima, il DNA è il DNA, e le somiglianze e la vocazione saltano fuori anche dopo un tempo immemorabile. Del resto, fra un orologio a pendolo e un metronomo non c’è troppa differenza. Come fra destra e sinistra ed Est e Ovest. E il «come», da parte sua, assomiglia molto al «quasi»! Quasi ci cascavate!
Ma questo, Robo-tic e Robo-tac non potevano saperlo: di similitudini e di metafore non avevano ancora fatto esperienza.

Comunque sia, dopo questi avvenimenti, capirono che, se è meglio essere precisi che approssimativi – soprattutto quando si fanno i compiti –, è ancor meglio essere duttili che troppo rigidi. In fondo, solo così si comprendono le sottigliezze dell’arte e le bellezze della natura.

Robo-tic & Robo-tac
Un racconto in difesa del «quasi»